Darsena: la nascita seconda puntata, la storia scritta da un perdente.

mosconi 2Nel 1986 dopo aver approvato il piano Regolatore del  Porto fu contestualmente dato incarico ai professori Dal Paos e Liberatore dell’università di Padova di redigere lo studio d’impatto ambientale della darsena.

Il 12 novembre del 1987 il Comune di Bellaria vota la propria partecipazione a “Portur 2000 s.p.a. Lo statuto è redatto in maniera tale che Portur possa fare qualsiasi operazione, ma la volontà  dichiarata dei soci promotori e sottoscrittori è di promuovere  la realizzazione della darsena arrivando a completare una progettazione volta ad ottenere l’insieme delle autorizzazioni occorrenti. Verrà in seguito  individuato il soggetto attuatore. Il denominatore comune dei soci promotori era l’entusiasmo. E vi erano tutti: categorie, privati cittadini e appunto il comune. Ma non tutti parteciparono con lo stesso fine: avere  al più presto la darsena e sistemare per bene l’asta fluviale. Vi fu chi voleva stare in assemblea e in seguito  nel CDA per essere trainante, vi fu chi voleva controllare che l’impatto dell’opera non danneggiasse la propria attività e chi vi trovava possibili opportunità di sviluppo dei propri affari personali.

La componente più genuina furono i tanti privati che sottoscrissero chi  centomila lire (la quota minima) chi  qualche milione  con l’entusiasmo di concretizzare un’opera attesa dagli anni ’50, il capitale sociale era fissato a 1.000.000.000 di lire .

Intanto mentre si continuavano a raccogliere le adesioni informali, l’Amministrazione Comunale adottava il 18 gennaio del 1989 il Piano Regolatore del porto in variante al P.R.G e l’analisi degli aspetti ambientali (erosione)  in data 28 ottobre 1988 . Mentre il 21 febbraio 1989 il Consiglio comunale  adottava la variante al P.R.G  vera e propria. Tutti questi atti furono votati all’unanimità dal Consiglio Comunale ad eccezione del MSI. In buona sostanza un fetta della popolazione, le categorie economiche e la politica marciavano unanimi sul progetto. Io venni indicato come rappresentante dell’Amministrazione comunale per la minoranza in una stanca seduta in consiglio comunale a ridosso delle elezioni del 1990 mentre Ferdinando Fabbri lo fu per la maggioranza. Mi sembrò strano che la DC non reclamasse quell’importante incarico.

Una volta terminato l’iter di sottoscrizione delle prime quote dei pacchetti azionari  si insediò il CDA  che elesse quale presidente il Sig. Luigi Giorgetti vi erano inoltre rappresentati, bagnini, pescatori, albergatori, una banca, un imprenditore importante, il circolo nautico ecc. insomma un po’ tutti coloro che avevano interessi diretti ed indotti. Il Consiglio lavorò alacremente iniziò bene nominando un tecnico idoneo e con requisiti curricolari e tenne intensi rapporti con lo stesso per pervenire al più presto ad ottenere le autorizzazioni occorrenti. Ma nel corso delle sedute emergevano molto spesso  dei distinguo che minavano progressivamente l’unità di intenti. Tutti a parole si definivano collaborativi ma nei fatti c’erano malumori più o meno manifesti. C’erano anche comportamenti che tendevano ad appesantire il costo finale del piano regolatore del porto.

Cerco di spiegarmi meglio:  alcuni componenti , i più attivi e più informati, avevano una sorta di golden share per vari e validi motivi  che andavano bene finchè  gli interessi presenti ( e futuribili ) personali coincidevano con l’interesse collettivo in più c’erano i preoccupati, ovvero coloro che volevano  solo controllare.

C’era in particolare da parte della categoria dei bagnini una forte preoccupazione per l’erosione che gli studi di impatto ambientale con ulteriori supplementi di indagine affidate a modelli matematici  non lenivano. Nessuno aveva il coraggio di dire “non ci va quella allocazione” ma una parte della città pur non manifestandosi apertamente era decisamente impaurita dalla possibilità che gli studi potessero non garantire la  futura ricettività sull’arenile e temeva però di essere additata come nemico della darsena. Intanto erano successi dei fatti politici non da poco: Nando Fabbri aveva stravinto le elezioni del 1990  e dopo un breve esperienza  con i Verdi si creò nel contempo il clima per attuare  il compromesso storico cittadino (oggi definito inciucio). I socialisti che erano stati  grandi protagonisti dal 1980 al 1990 si chiusero in una sorta di rancore nei confronti di Fabbri che li portò a non accettare un ruolo di collaborazione subordinato con il PCI e ne uscirono disfatti e incapaci di fare opposizione.

Per questo mi trovai ad essere riconfermato nel CDA, che fece poi i peccati originali che compromisero il buon esito per realizzazione della darsena. In quei due anni che portarono la progettazione ad un buono stato di avanzamento, le golden shares  si manifestarono. Non si volle cercare un attuatore forte, si conferì l’incarico ad un soggetto che aveva una capitale sociale di 25 milioni di lire che al massimo avrebbe potuto seguire l’iter burocratico e trovare eventuali soggetti attuatori. Si scartò l’ipotesi di cordate economiche locali  riminesi  e ravennati per timore di perdere influenza e il controllo. Il percorso divenne in seguito, ad ostacoli.

Intanto il consiglio comunale aveva preso un altro provvedimento importante a favore della darsena. Si era assicurato nella trattativa con la società Agricola della Benelli la futura cessione delle aree a monte e mare  della ferrovia  per dare concretezza a quanto previsto dagli strumenti urbanistici generali. Ma nel 1995 l’assetto societario cambiò, Il vecchio consiglio rappresentativo della città decise che si era già alla realizzazione e il suo compito era finito. L’ultima cosa positiva che venne fatta dal “CDA dei cittadini” fu inserire nel protocollo di intenti del rapporto di cessione del controllo ai futuri attuatori la previsione del rimborso integrale delle azioni sottoscritte ( decisione che non era scontata). Nessuno dei generosi ed entusiasti sottoscrittori ci rimise una lira. Da quel momento nel CDA entrò il sindaco pro tempore ed un altro rappresentante della minoranza. Fabbri veleggiava in regione. Il nuovo consiglio  comunale procedette rapidamente alla sostituzione dei due membri di sua nomina del CDA. Il resto alla prossima puntata.

Concludendo: le mine contro la realizzazione della darsena erano state tutte innescate:

–        Il Comune si era lasciato sfuggire la Colonia Roma

–        Il CDA di Portur non aveva individuato l’attuatore giusto

–        Si era sottovalutato lo scontento di parte della popolazione

–        Seguendo il consiglio di qualche tecnico maitre a penser dell’epoca (forte della credibilità che era derivata dalla politica degli arredi) si era individuata come ottimale l’attuale area (c’era  anche chi aveva proposta la ex Pavia ricordo che quella proposta venne immediatamente cassata con due argomenti principali: non vogliamo fare la darsena ai riminesi e di acqua c’e ne è già troppa,  inutile portarla dove c’è la terra).

E’ vero ce ne era già tanta come quella che è passata sotto i ponti dal 1986 e il futuro attuatore era stato caricato di tanti e tali macigni  che poi si sono rivelati fatali. Rimini dopo un bel po’ di stand by ci raggiunse e ci superò perché non aveva fatto errori così basilari.


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