Pericolo Giallo?

In questi tempi di crisi tanto politica quanto economica, i negozi cinesi  sembrano essere delle isole felici in cui acquistare spendendo poco e, se si usa un minimo di oculatezza, si può comperare anche qualcosa di buono perchè in fin dei conti i cinesi quando vogliono fare una cosa bene, la sanno fare. Sia innanzi tutto chiaro che è esclusa qualsiasi considerazione razzistica: qui si parla di economia e rapporti commerciali.

Questi negozi, sempre più diffusi nelle metropoli e in espansione anche in provincia, sono fornitissimi di merce a prezzi stracciati: dalle pentole ai collant, dai gingilli di plastica ai fiori finti, dai giocattoli alle valigette in similpelle, dalle mutande in pizzo alle tazzine per il caffè, ma anche di prodotti originali: io stesso ho acquistato un dopobarba di “Denim” a 4,70 euro contro il prezzo scontato del 40 % di una profumeria romana di 7,80 euro. Una notizia non confermata parla anche di una prossima vendita di sigarette il che potrebbe farci venire qualche sospetto su certi accordi commerciali ( o politici? ).

Il recente incendio in quel di Prato ha portato all’attenzione pubblica quanto già molti sapevano: l’esportazione non solo “umana” ma anche della tipologia di lavoro del paese dei bambù e causato anche una manifestazione spontanea di imprenditori e lavoratori della zona su quanto sta accadendo. Da dove e in quanti  arrivano questi regolari immigrati e chi è che li sponsorizza? Le comunità cinesi nel mondo occidentale sono chiuse, talmente chiuse che nessuno, e dico nessuno, di loro viene seppellito in Italia: qualcuno ha mai visto un funerale cinese? No, in quanto, come narra l’autore di “Gomorra” a Napoli c’è un giro di cadaveri in container che partono alla volta della Cina. Di fatto, i morti cinesi ufficiali in Italia, dal 2000 a oggi, sono 30, su una comunità ufficiale di 150mila persone. Insomma la Grande Cina è tra noi, ma a quale prezzo? Certamente un calo delle vendite dei negozi italiani, ma questo è il minimo ( e chiedo scusa ai commercianti ) in quanto, al di là della scoperta da parte dei Carabinieri di magazzini stipati di merci nel quartiere Tiburtino di Roma mesi fa ( tra l’altro con un preoccupante tasso di radioattività ) quali sono i rapporti non solo commerciali che intercorrono tra Roma e Pechino?

Intanto c’è la questione fiscale: la procura di Firenze indaga su una maxi evasione di 287 imprenditori cinesi che dall’Italia hanno spedito diversi miliardi di euro ( 4,5 per l’esattezza, la stessa somma dell’IMU ) a Pechino beffando il fisco. Tutti piccoli versamenti da 1999 euro per evitare i controlli che scattano per transazioni dai 2000 euro in su. E stiamo parlando solo della punta dell’iceberg perchè da quasi tutte le parti viene riferito che il 90 % dei negozi cinesi non rilascia lo scontrino… ma forse questo al Fisco e a Equitalia non interessa, è più facile prendersela con il pensionato o il piccolo imprenditore italiano, chiedendo rimborsi per i quali al supposto evasore non conviene fare ricorso. Del resto una statistica del 2013 ha evidenziato come Equitalia ogni 100 contestazioni a cui era stato fatto ricorso, ne abbia perse ben 80.

Un paio di anni fa la Cina si era offerta di comperare l’aeroporto di Atene ( il che avrebbe dato un valido aiuto all’economia greca in crisi ) e non so cosa sia avvenuto: si tratta però di un campanello di allarme e tra l’altro la recente ostilità Italia-India c’entra qualcosa? Se vi sono accordi commerciali tra Italia e Cina, su giornali e su Media compare ben poco, tuttavia se l’industria italiana potesse accedere anche solo ad un 5 % del mercato cinese ( = 1 miliardo e mezzo di persone ) forse potremmo raddoppiare il PIL vendendo anche a prezzi stracciati. Oppure è la Cina che mira al mercato italiano? Domande molte, risposte: nessuna.


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Massimo Scalzo

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