C’era un tempo in cui alcuni uomini si sedevano in macchina ( a Le Mans dovevano correrci dentro ) e si davano battaglia lungo piste delimitate da guard-rail , sabbia, balle di paglia, gomme e reti, dove il massimo della furbizia era piegare la testa di lato in rettilineo per guadagnare tre chilometri in più di velocità. C’era un tempo in cui le ‘chicane’ non le potevi saltare perchè, se non ti schiantavi, finivi nella sabbia, dove alcuni rettilinei sembravano non finire e nel Motodrom duecentomila spettatori aspettavano di veder arrivare i bolidi alla Sachskurve e sfilare rombando e sbandando lungo il traguardo verso la Nordkurve e perdersi nel bosco, quello dove finì la sua carriera Jim Clark.
C’era un tempo in cui rettilinei e curve si percorrevano fianco a fianco spremendo fino all’ultimo cavallo dei motori, un tempo in cui solo qualcuno teneva giù il piede all’Eau Rouge o a Lesmo e alla Parabolica le auto entravano accodate per sfruttare la scia e se c’era la pioggia i commissari mettevano via le bandiere e fissavano attoniti le colonne di acqua che celavano le auto. Tempi in cui in pista rombavano 12 cilindri boxer, 12, 10 e 8 cilindri a V, con gli scarichi che uscivano come canne binate dal retrotreno. Un tempo in cui potevi contare su due ali fisse con tre posizioni ( regolabili ai box se potevi o dovevi fermarti ). Poi tutto è finito.
C’era un tempo in cui regolamenti e media non riuscivano a uccidere la competizione, in cui i duelli ruota contro ruota non venivano giudicati dalla direzione gara, in cui potevi decidere di scaricare le ali per andare più veloce anche in curva ( Andretti, Monza, “alettoni alzo zero”) in cui potevi riparare la macchina con un pezzo di fil di ferro o scegliere al warm-up il muletto magari perché pioveva e aveva il setting per la pioggia, in cui potevi andare a cercare il limite della vettura, se ne avevi il cuore. Oggi il cuore è solo un muscolo che pompa sangue: è la macchina che ti porta con le sue sofisticate multi-ali, con le sue gomme adesive, malleabili e geneticamente modificate, con le sue roventi deiezioni soffiate sull’alettone posteriore che raddrizzano le curve dei kartodromi, là dove i duelli sono spesso fratricidi e dove il cuore, quando c’è, viene trafitto in rettilineo da un’ala mobile. E il pilota deve solo tenerla su immaginari binari, senza strappi, senza in nulla eccedere, mentre dietro ai muretti ingegneri e tecnici studiano quale gomma montare e quando.
Vie di fuga che neanche al Kennedy o al Miami International Airport, cordoli a spina di pesce, a dorso di coccodrillo o quel che volete, strisce che delimitano la pista e guai a superarle, volanti multi-funzioni che neanche Bill Gates ci capirebbe niente, collegamento radio, meteo in tempo reale per ogni settore di pista, Safety-Car pronte a uscire al primo detrito o alla prima goccia di pioggia… ma d’altronde dove vai con il fondo a un centimetro o poco più dall’asfalto? Giudici di gara, con la lente di Sherlock Holmes in tasca chini su immagini della corsa a 50 pollici HD e guidati da un ex-pilota che non riuscirebbe neanche a tirare fuori dal box una di queste monoposto.
Formula Uno. La parola perduta, anzi uccisa in nome della sicurezza ( ma allora perché pagare un pilota milioni e milioni di euro l’anno? ) e dello spettacolo virtuale a pagamento. Compriamoci quindi una PS3 o quello che volete con il set del volante F1 e ci divertiremo di più. Lì almeno possiamo spedire chiunque nella sabbia e non ci levano neanche un punto patente.
Anche il Kaiser, che di teutonico aveva solo la lingua, che mostrò a tutti il suo cuore al volante della monoposto insultata da Prost, quella domenica del 2 giugno 1996 al Montmelò, dando tre secondi al giro a maghi della pioggia come Jean Alesi e Jacques Villeneuve che correvano con la macchina campione e vice-campione del mondo, anche lui ha abdicato a queste macchine volute da menti volte più all’audience ed ai ricavi che allo sport. Ma i “cuori da corsa” ci sono ancora anche se celati e prima o poi torneranno e torneremo a seguire le corse con il cuore in gola, gli occhi fissi a quella giostra di follia che si chiama Campionato mondiale di Formula Uno.
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La foto dell’articolo è quella della Lotus 49 Ford del 1967 di Jim Clark al Nurburgring.
La foto dell’articolo è quella della Lotus 49 Ford del 1967 di Jim Clark al Nurburgring.
davvero eccellente
Grazie, presidente.
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