Perché i banchieri centrali sono maestri di retorica

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Le mosse di Bernanke, Carney e Draghi

L’interventismo finirà, per questo devono guidare i mercati nell’interpretazione delle loro parole

C’è chi sostiene che i banchieri centrali non comandino più una macchina – che si snoda dalla banca centrale ai mercati finanziari – che risponde univocamente alle loro decisioni. La macchina in passato funzionava perché le informazioni erano note, e i modelli per interpretarle condivisi. Le parole dei banchieri centrali possono oggi, invece, essere interpretate in modi diversi, con le interpretazioni che possono portare a delle conclusioni – ossia a prezzi delle attività finanziarie – anche molto diverse.

I banchieri centrali non sono più degli “ingegneri” al comando di una macchina, ma piuttosto degli “sciamani”, che debbono comunicare le proprie intenzioni, ben sapendo che le interpretazioni possono essere molteplici. Ossia, i banchieri centrali dei giorni nostri devono, più che comunicare le proprie intenzioni, guidare l’interpretazione delle stesse. I contraccolpi che si sono avuti negli ultimi mesi in seguito alle dichiarazioni del governatore della banca centrale degli Stati Uniti, Ben Bernanke, e l’estrema delicatezza delle situazione in cui siamo in effetti giustificano l’invocazione dello sciamano al posto dell’ingegnere.

UNA PREMESSA

Fino a non troppo tempo fa – il mondo dell’economia precedente la globalizzazione – la banca centrale abbassava il tasso di interesse, quando l’economia andava male per stimolarla, e lo alzava, quando l’economia correva troppo per non farla surriscaldare. La banca centrale agiva anche sul mercato valutario nella direzione dell’indebolimento o del rafforzamento della moneta. In qualche caso – come in Italia fino agli inizi degli anni Ottanta – interveniva sul mercato dei titoli di stato, acquistandoli se non fossero stati comprati dai privati. Infine, supervisionava il sistema bancario nazionale. Insomma “faceva un sacco di cose”. Poi, con la crisi in corso esplosa in un mondo di interdipendenze, è arrivato il “gran salto”.

LO SFONDO

Da qualche anno la Banca Centrale degli Stati Uniti si è messa ad acquistare in misura massiccia i titoli obbligazionari sia privati (i famigerati titoli con in pancia i mutui ipotecari) sia pubblici. E lo ha fatto sia per evitare che il sistema finanziario e quello dei mutui ipotecari crollasse (il lato degli acquisti di obbligazioni private), sia per comprimere il costo delle politiche fiscali espansive (il lato degli acquisti di titoli del debito pubblico). Insomma, per evitare la crisi e rilanciare la crescita, le politiche monetarie sono diventate “non ortodosse” (quelle “ortodosse” sono descritte nel paragrafo precedente).

Sul versante dei titoli pubblici sia la Banca Centrale d’Inghilterrasia quella del Giappone, sono intervenute con acquisti massicci. La Banca Centrale Europea, che segue il Fiscal Compact, non è intervenuta in misura massiccia in acquisto dei titoli di stato, ma ha finanziato le banche di credito ordinario – soprattutto quelle spagnole e italiane – che li compravano. Vale a dire che essa è intervenuta lo stesso, ma “indirettamente”.

Insomma, c’è stato ovunque un grande interventismo, con la politica monetaria che in un modo o nell’altro ha aiutato il sistema finanziario e la politica fiscale. E siamo al dunque. Il grande interventismo non può durare all’infinito, perché prima o poi i mercati dovranno “camminare con le proprie gambe”, e quindi decidere con quali rendimenti comprare le obbligazioni sia private sia pubbliche. I rendimenti possono salire con violenza oppure morbidamente, e, in ogni caso, si deve fare in modo che non vi siano degli “effetti collaterali” negativi.

Senza l’intervento delle banche centrali il rendimento dei titoli del Tesoro a dieci anni non sarebbe, infatti, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, e in Giappone così basso. Con debiti pubblici che ormai sono intorno al 100% del PIL nei primi due paesi, e intorno al 200% nel terzo, e con deficit cospicui in tutti e tre i paesi, i rendimenti richiesti sarebbero molto probabilmente maggiori di quelli correnti. Il caso tedesco è diverso, perché, nonostante il suo debito sia appena sotto il 100% del PIL, la Germania ha un deficit nullo che non alimenta il debito. Non solo, ma il Bund ha un rendimento compresso anche perché risente della ricerca di un “porto sicuro” nell’area dell’euro per la crisi dei paesi del Mediterraneo. Nel caso tedesco aleggia però il dubbio della sottovalutazione della crisi in cui si trova il suo sistema bancario.

Come possiamo uscire dall’interventismo delle banche centrali? A parte il rialzo dei tassi, che per ora non è all’orizzonte, le modalità sono: le banche centrali smettono di comprare le obbligazioni, ma tengono in portafoglio tutte quelle acquistate, oppure le vendono. E qui arriva il bello.

LA VICENDA 

Prima di una gara un atleta smette di allenarsi – l’espressione inglese è tapering. Quando Bernanke in giugno parlò di tapering, i mercati tosto si innervosirono. Bernanke si riferiva alla fine degli acquisti di titoli di stato – il Quantitative Easing III – da parte della Fed. Meno acquisti – con il miglioramento degli andamenti economici nel 2013 – e (se e solo se) l’economia si fosse stabilmente ripresa, nessun acquisto nel 2014. Non aveva fatto cenno a una politica monetaria restrittiva – il tightening (lo stringere la cinghia: belt-tightening) – quando da un lato si hanno dei tassi di interesse maggiori praticati dalla Banca Centrale per finanziare le banche di credito ordinario, e dell’altro si ha la vendita delle obbligazioni che la Banca Centrale aveva comprato nel corso del tempo.

Dunque Bernanke aveva in mente l’atleta che smette di allenarsi, non la cinghia più stretta. Dopo qualche giorno altri esponenti della Banca Centrale statunitense si pronunciarono spiegando che non si trattava di stringere la cinghia, ma semmai di smettere di allenarsi, e i mercati smisero di temere il peggio. Poi arrivarono le dichiarazioni della Banca Centrale d’Inghilterra e della Banca Centrale Europea, tutte nella direzione delle politiche monetarie ultra lasche. Per un certo periodo i mercati delle obbligazioni smisero di flettere e quelli delle azioni tornarono a salire. Infine, Bernanke ha chiarito la contrapposizione fra Tapering versus Tightening in un’audizione parlamentare.

LA CATENA DI TRASMISSIONE 

Sembra che nei mercati finanziari prevalga questa relazione: economia debole = politica monetaria lasca = mercati obbligazionari tonici e azionari in ascesa, che si contrappone all’altra relazione: economia forte = politica Monetaria meno espansiva o restrittiva = mercati obbligazionari deboli e azionari (forse) in ascesa.
Dunque tanto più floscia è la ripresa dell’economia reale, tanto maggiore è la stabilità dei mercati finanziari. E questo – per quanto possa sembrare tale – non è un qualche cosa di “irrazionale”.

I prezzi delle obbligazioni del Tesoro sono, infatti, talmente alti (i rendimenti talmente bassi) che si ha una spinta a comprare tutto quel che rende di più. Se le obbligazioni del Tesoro avessero dei prezzi più bassi (dei rendimenti più alti) per il venir meno degli acquisti delle Banche Centrali, allora verrebbe meno la spinta a comprare tutto quello che rende di più. Se il rendimento del Bond statunitense andasse al cinque per cento – il suo rendimento storico – dal 2,5 per cento dove si trova, nessuno comprerebbe un’obbligazione ad alto rischio che rende il cinque per cento.

Questa “razionalità” dovrebbe far meditare. Il mandato della Banca centrale degli Stati Uniti è, infatti, quello di favorire il massimo della crescita dell’economia reale compatibile con un’inflazione sotto controllo, non è quello di rassicurare i mercati finanziari. E – forse – siamo giunti alla spiegazione dell’accaduto.

DELL’INIETTARE TIMORE 

Possibile che Bernanke possa aver involontariamente prodotto tanta confusione? No, ha voluto piuttosto iniettare timore nei mercati, perché smettessero di costruire troppe posizioni a leva (= acquisti finanziati arbitrando la differenza fra il rendimento dell’attività comprata e il costo del suo finanziamento) che, alla fine, si rivelano troppo rischiose, quando la politica monetaria smette di essere ultra espansiva. Bernanke, infatti, ha dichiarato: «I think not speaking about these issues would have risked a dislocation; it would have risked increase build-up of risky, leveraged positions in the market».

Troncare, sopire, inghiottire rospi. Se il ragionamento esposto tiene, allora i mercati, appreso il messaggio che li incentiva alla prudenza, dovrebbero pian piano formare dei rendimenti delle obbligazioni più alti, forse dei prezzi delle azioni più alti, ma in un contesto di forte volatilità, e smettere di comprare le attività rischiose – come le obbligazioni private ad alto rischio, e quelle dei Paesi Emergenti – come se fossero ad alta qualità.

Una volta che i capitali non sono più attratti dai rendimenti maggiori che si hanno nei Paesi emergenti, e non li si hanno più perché salgono i rendimenti dei Paesi emersi, ecco che si ferma il flusso verso i primi. Il flusso si ferma soprattutto quando i Paesi emergenti hanno il problema del finanziamento della loro bilancia dei pagamenti, ossia quando importano molto più di quanto esportino. Questi Paesi sono il Brasile, l’India e l’Indonesia, ossia quelli che in questi giorni vedono il cambio e le borse cadere.

Dai mercati dei titoli di stato si passa subito a quelli delle obbligazioni private ed alle attività finanziarie dei paesi emergenti. Con i mercati dei titoli di stato dei paesi emersi, che mostrano, per effetto degli acquisti delle banche centrali, dei rendimenti compressi, si hanno dei rendimenti bassi delle obbligazioni private, e dei mercati emergenti tonici. La catena può girare al contrario, e anche, nel caso estremo, disordinatamente, se i titoli di stato dei paesi maggiori tornano a rendere di più (in realtà se tornano a rendere come nella media storica). Da qui la difficoltà comunicativa, con lo sciamano che deve convincere gli investitori a farlo ordinatamente…

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/banchieri-centrali-sciamani#ixzz2cyJDv3Tn


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Il Direttore Giuseppe Bartolucci

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